domenica 5 luglio 2009

Padroni in casa nostra? casa di chi?




Si può essere così parsimoniosi da non voler pagare, per paura e pigrizia, il prezzo dell’immigrazione di manodopera industriale e agricola, e magari sorridere all’immigrato dal lunedì al venerdì, quando lavora in fabbrica, e poi ringhiargli contro durante i weekend, quando invade con la sua famiglia i luoghi pubblici e disturba la nostra quieta consuetudine a sentirci "padroni in casa nostra ?". A qualcuno pare di si, evidentemente per Giovanardi, il neologismo "badante" qualche castagna dal fuoco la toglie. Perché si può anche dimenticare, quando fa comodo, di ricordare il cantiere o la cava o l'ovile dentro le quali gli stranieri sgobbano e ripetono fatiche un tempo nostre: la durezza del lavoro manuale non è più riflessa, da tempo, nel grande e asettico specchio della televisione, non è più senso comune, non più esperienza comunitaria, è una specie di enorme rimosso, cosa loro e non cosa nostra. Ma quello che accade in casa, e accade attorno agli affetti primari, alla madre e al padre, in quel territorio così bene irrorato dalla retorica italiana che è la Famiglia, beh quello non siamo ancora così abilmente ipocriti o così distratti da poterlo ignorare.